Il 25 aprile è divisivo solo se sei fascista

Non so come sia nato lo slogan ma certo ora ce n’è bisogno, mentre nella mia infanzia e giovinezza era ovvio che questa festa nazionale appartenesse a tutti.
Quando mio papà spiegava la sua iscrizione all’ANPI dicendo che aveva «solo tenuto in mano un moschetto nei giorni della liberazione», era difficile fargli raccontare di più. Ora vedo che nel settembre 2005 di era messo a scrivere quei ricordi. Ma proprio in quel periodo è successa una cosa che l’ha interrotto (e questa è un’altra storia, come si suol dire). Non è andato oltre le prime due pagine, scritte a mano con la sua grafia minuta sul retro di fotocopie. Niente episodi eroici, niente rivelazioni storiche, niente intenzioni celebrative, semmai un certo senso dell’umorismo (il terzo paragrafo doveva intitolarsi «Formaggio e nostranèl»). Ma resta la prova che l’antifascismo era normale anche per un mite ventenne cattolico che era stato riformato alla leva e non aveva fatto il partigiano. Forse si stava un po’ schisci, per temperamento familiare, ma si ospitavano per la notte, prima che prendessero una barca, gli ebrei in fuga verso la Svizzera, dice la zia, e lo zio cui toccava la leva sotto la RSI scappò in montagna, fu arrestato e liberato per miracolo.
Siamo sulla sponda orientale del lago di Como (di quello che succedeva su quella occidentale già sapete).

Italia, Italia, cosa importa se si muore

28 aprile 1945 (?)

Il camion era fermo sulla strada circa all’altezza del sentiero che allora dalla via al Pontile di Coltogno (ora via Martiri della Libertà), fiancheggiato da un lato dalla vigna dei Pomi e dall’altro da vari orti, raggiungeva la Statale. Il motore era acceso, stava per partire, ma feci in tempo a salire sul cassone dove c’era già molta gente, partigiani, e anche dei giovani senz’armi. «Va’ e ritorna» era scritto sul camion e sul tetto della cabina era piazzata una mitragliatrice. Era diretto a Lierna, paese poco oltre il quale una colonna di tedeschi, ritiratasi da Bellano il 26 aprile, lasciata Varenna dopo uno scontro presso la stazione ferroviaria (con un morto per parte), si era fermata sotto la galleria prima di Olcio. 

Lungo il tragitto, preso anch’io dall’euforia di quei giorni, sparai un colpo in aria con il vecchio moschetto che, con due bombe a mano, costituiva il mio armamento. L’otturatore aveva un difetto, il tubetto a nasello dopo ogni colpo doveva essere spinto in avanti, altrimenti il percussore non agiva. Un ragazzo forse di Noceno, che mi era vicino, volle il bossolo di ottone.

I tedeschi non avevano voluto arrendersi ai partigiani. Aspettavano gli americani e nel frattempo si era stabilita una tregua.

Arrivato a Lierna non trovai i compagni della squadra che dal pomeriggio dell’insurrezione (iniziata a Bellano il 26 aprile) aveva presidiato il posto di blocco sulla strada presso la stazione F.S. rimanendo anche tutta la notte. Mi recai vicino all’imbocco della galleria dove erano i tedeschi. Una mitragliatrice leggera era piazzata all’inizio della galleria. Nelle vicinanze si notava un gruppo di partigiani con divise nuove di color grigioverde e berretto con visiera, su cui spiccava una sgargiante stella rossa. Erano impazienti, avrebbero voluto attaccare i tedeschi, far saltare la galleria…

A quel punto il comandante partigiano Al (Aldrovandi) tenne ai presenti un breve discorso, invitando alla calma… «Di acqua ne abbiamo presa tanta, e ne dovremo prendere ancora…» (il tempo era alquanto minaccioso). Tra i comunisti qualcuno commentò: «Lo conosciamo. È bravo a tenere dei bei discorsi…»

Sotto la galleria era permesso il transito dei civili e a un certo punto scorsi Mario: arrivava da Milano in bicicletta, diretto a Bellano, e mi diede un passaggio: mi accomodai sulla canna della bicicletta, stando attento alle «uova» (le due bombe a mano che avevo in tasca, prelevate nella caserma dei carabinieri di Bellano il 26). Ci allontanammo e passando dal ponte della Valvacchera vedemmo i partigiani che lo stavano minando per precauzione, nel caso di tentativo tedesco di fuga verso la Valtellina. Non pioveva. Si sentiva un canto lontano: «Italia, Italia, cosa importa se si muore…»

Sventolando il tricolor bandiera

Dopo una notte di guardia al posto di blocco sulla statale, presso la stazione ferroviaria di Bellano, la mia squadra era andata alla caserma del Convitto per la colazione. 

Il posto di blocco era stato da noi presidiato fin dal pomeriggio del 26 aprile, giorno in cui a Bellano era iniziata l’insurrezione. All’inizio circa del pomeriggio un interminabile suono della sirena del cotonificio Cantoni aveva dato l’annuncio. Tedeschi e fascisti si erano allontanati verso sud… Con il coscritto Antonio avevo fatto un giro passando dalla caserma dei carabinieri, aperta, nella quale ci lasciarono prendere alcune bombe a mano che mettemmo in tasca. Arrivammo poi alla piazza della stazione. C’era fermo un motocarro carico di moschetti. Li distribuivano, ne diedero uno anche a noi e fummo subito impiegati al posto di blocco. Un lungo palo sbarrava la strada in corrispondenza del sottopassaggio della ferrovia detto «la tomba». Dall’altro lato della strada c’era allora un piccolo garage.

Comandava la strada un partigiano armato di fucile mitragliatore, vestito in borghese, un montanaro della Val Varrone: ricordo che ai piedi aveva i tipici pedü di pezza, con suola a strati di stoffa cuciti tra loro e tomaia a punta, caratteristici della Valsassina e Val Varrone. Quando arrivava una macchina per passare, il palo veniva momentaneamente rimosso. Eravamo numerosi, ma, man mano che si avvicinava la sera e minacciava di piovere, qualcuno se ne andava per i fatti suoi. Io, Antonio ed altri rimanemmo tutta la notte. Passò il comandante della piazza «Renato», che scambiò con Silvestri, figlio di un ufficiale alpino, qualche parola sulla difesa del paese. Nella notte a un certo punto mi stesi un po’ sul cassone di un autocarro nel piccolo garage. Sentii arrivare l’Ettore (Bernasconi – marinaio medaglia d’argento).

Spari nella notte. Al mattino alcune donne delle case vicine ci portarono il caffè.

Andammo quindi al Convitto, grande costruzione un tempo adibita ad alloggio delle operaie del cotonificio, poi trasformata in caserma degli allievi ufficiali della Repubblica di Salò e ora sede del comando di piazza dei partigiani della … [55ª] brigata Rosselli.

Ci sedemmo vicino a un gruppo di giovani partigiani di Premana, evidentemente cattolici garibaldini. Notai infatti che portavano sulla giubba una piccola croce e la corona del rosario. Si misero a cantare «Soffia il vento, infuria la bufera…» Cantavano bene, i promàn (i premanesi) hanno il canto nel sangue. E, arrivati alla fine, quando «il fiero partigian» torna a casa vittorioso, anziché «la sua rossa bandiera» risuonò nella sala un poderoso «sventolando il tricolor bandiera»!

Scaffali: Mrs. Dalloway

Various editions of Mrs. Dalloway by Virginia Woolf

Quando non si lavora si ha finalmente tempo di riordinare gli scaffali; in questo caso i libri accumulatisi prima, durante e dopo la traduzione di Mrs. Dalloway (e dei racconti e del romanzo biografico di Emmanuelle Favier).
Bibliografia un po’ selvaggia, sì, ma in realtà guidata da esigenze specifiche: quelle di analisi stilistica e interpretazione precisa di testo e contesto. Si traduce dall’edizione critica, ma i Complete Works di Delphi in digitale sono preziosi a mo’ di concordanze. Più dei saggi critici contenutistici a volte servono analisi scolastiche e tesi di laurea che approfondiscono un dettaglio lessicale o sintattico (non stendo la lista di articoli accademici et similia perché sono pigra). E poi rimane un riflesso condizionato per cui ci si mette in casa ogni curiosità trovata in giro.
Delle traduzioni italiane storiche – da guardare rigorosamente dopo aver tradotto, in cerca di un conforto che non si troverà – manca quella di Pier Francesco Paolini, Newton Compton 1992.
E bisognerà caricare nel reader i diari completi appena pubblicati da Granta.

Dunque ecco qui lo scaffale – primario, secondario, varie ed eventuali.

Mrs. Dalloway, The Hogarth Press 1976 (13th impression)
Mrs. Dalloway, with an introduction and notes by Elaine Showalter, text edited by Stella McNichol, general editor Julia Briggs, Penguin Classics 2000 (1a ed. 1992)
Mrs. Dalloway, edited by Anne E. Fernald, Cambridge University Press 2017 (1a ed. 2015)
The Annotated Mrs. Dalloway, edited by Merve Enre, Liveright Publishing Corporation 2021

La signora Dalloway, tr. di Alessandra Scalero, Oscar Mondadori 1989 (1a ed. 1946)
La signora Dalloway, tr. di Laura Ricci Doni, con uno scritto di Paul Ricoeur, SE 1992
La signora Dalloway, tr. e intr. di Nadia Fusini, Feltrinelli 2014 (1a ed. 1993)
La signora Dalloway, tr. di Anna Nadotti, intr. di Antonella Anedda, Einaudi 2012
La signora Dalloway, a c. di Marisa Sestito, con testo a fronte, Marsilio 2012

The Complete Shorter Fiction, ed. by Susan Dick, Harcourt 1989
Selected Diaries, abridged and edited by Anne Olivier Bell, introduction by Quentin Bell, Vintage 2008 (1a ed. Hogarth Press 1990)
Selected Letters, ed. by Joanne Trautman Banks, preface by Hermione Lee, Vintage 2008 (1a ed. Hogarth Press 1989)
Lunedì o martedì. Tutti i racconti, a c. di Mario Fortunato, Bompiani 2017 (il volume che per qualche motivo ha in copertina la madre di VW ritratta da sua zia Julia Margaret Cameron)
Per le strade di Londra, tr. di Livio Bacchi Wilcock e J. Rodolfo Wilcock, Il Saggiatore 1963

Jessica Berman (ed.), A Companion to Virginia Woolf, Wiley Blackwell 2016 (ebook)
Julia Briggs, Virginia Woolf: An Inner Life, Penguin Books 2006, ebook (1a ed. Allen Lane 2005)
Molly Hoff, Virginia Woolf’s Mrs. Dalloway: Invisible Presences, Clemson University Press 2009
Nicholas Marsh, Virginia Woolf: The Novels, Macmillan 1998
Francine Prose (ed.), The Mrs Dalloway Reader, Harcourt 2003
Sara Sullam, Tra i generi: Virginia Woolf e il romanzo, Mimesis 2016
Michael H. Whitworth, Virginia Woolf, Oxford University Press 2005 (ebook)
Michael H. Whitworth, Virginia Woolf: Mrs Dalloway, Palgrave 2015

Michael Cunningham, Le ore, Bompiani 2001 (1a ed. 1999)
Michael Cunningham, Mr Brother, Bompiani 2002

John Donne, Poesie sacre e profane, prefazione di Virginia Woolf, introduzione di Giles Lytton Strachey, tr. di Rosa Tavelli, Feltrinelli 1995
William Morris, Political Writings, ed. by A.L. Morton, Lawrence & Wishart 1973
Monique Nathan, Virginia Woolf, tr. di Pietro Lazzaro, illustrazioni b/n, Mondadori 1962
Liliana Rampello, Joan Russell Noble, a c. di, Virginia Woolf e i suoi contemporanei, tr. di Lucia Gunella, Il Saggiatore 2017
Nino Strachey, Stanze tutte per sé, tr. di Claudia Valeria Letizia, L’Ippocampo 2018
Lea Vergine, Un altro tempo: tra decadentismo e Modern Style, Il Saggiatore 2012

Gli scaffali sono minibibliografie (o a volte anche discografie) compilate a posteriori, prendendo atto del contenuto delle mensole domestiche.

Vent’anni dopo

Perché mai tenere online un blog nato vent’anni fa? Confermo che «nato come To drown a rose in tempi di anonimato in rete, esterofilia e manifesti programmatici, questo archivio resta un inventario di cose lette sentite viste pensate che attira insperato traffico da google su argomenti balzani», e poi è in fondo la mia unica casa online – il resto è fuffa. Mi sembra anche una specie di resistenza all’internet (quasi tutta) orribile di adesso. Pagare due domini, la pubblicazione senza pubblicità, senza desiderare un minimo di traffico. Senza neanche aggiornare i link «rotti». Certo, ho anche predisposto un profilo Substack, nel caso che un cambiamento di piattaforma mi faccia venire qualche ispirazione. Mi piace Substack. Ma una newsletter la trovo un po’ presuntuosa: non ho mai avuto niente da dire direttamente agli altri online, ho solo messo in fila qualche idea nel caso suscitasse un po’ di complicità. Sarebbe un giorno perfetto per dichiarare chiuso il blog, oggi, e forse è quello che sto facendo… o forse no?

Scaffali: Truman Capote

Scaffale grassottello accumulatosi 1. per amore, 2. durante i lavori di redazione relativi all’autore, 3. durante la traduzione della biografia di Plimpton.

Bibliografia primaria

• In italiano
A sangue freddo, tr. di Maria Paola Ricci Dettore, intr. di Vincenzo Mantovani, Oscar Mondadori 1986 (1a ed. Garzanti 1966).
A sangue freddo, tr. di Alberto Rollo, pref. di Andrea Vitali (ma nella mia copia manca la prima pagina), Garzanti 2022 (1a ed. 2019)
Altre voci altre stanze, tr. di Bruno Tasso, Garzanti 1949.
Altre voci altre stanze, tr. di Bruno Tasso, Garzanti 2000. (1a ed. 1949)
Colazione da Tiffany, tr. di Bruno Tasso, Garzanti 1992. (1a ed. 1959)
Colazione da Tiffany, tr. di Vincenzo Mantovani, Garzanti 2018. (1a ed. 2016)
Delizie e crudeltà. Lettere 1959-1982, a c. di Gerald Clarke, tr. di Filippo Balducci, pref. di Piero Gelli, Archinto 2004.
Dove comincia il mondo, tr. di Vincenzo Mantovani, Garzanti 2016.
Incontro d’estate, tr. di Stefania Cherchi, Garzanti 2011. (1a ed. 2006)
L’arpa d’erba, tr. di Bruno Tasso, Garzanti 1996. (1a ed. 1953)
La forma delle cose (tutti i racconti), tr. di Stefania Cherchi, Mariapaola Dettore, Paola Francioli, Bruno Tasso, intr. di Reynolds Price, Garzanti 2007.
Preghiere esaudite, tr. di Ettore Capriolo, premessa di Joseph M. Fox, Garzanti 2008. (1a ed. 1987)
Ritratti e osservazioni (scritti giornalistici), tr. di Stefania Cherchi, Mariapaola Dettore, Paola Francioli, Bruno Tasso, Garzanti 2008.
Romanzi e racconti, a c. di Gigliola Nocera, traduttori vari, con un saggio di Alberto Arbasino, Meridiani Mondadori 2005. (1a ed. 1999)
Un Natale e altri racconti, tr. di Ettore Capriolo, Mariapaola Dettore, Paola Francioli, Bruno Tasso, 1985.

Truman Capote, Eleanor Perry, Frank Perry, Trilogia. Un esperimento di trasposizione multipla, tr. di Ida Omboni, pref. di John M. Culkin, foto in b/n fuori testo, Garzanti 1972. (Tre racconti e le relative sceneggiature televisive: Miriam, Fra i sentieri dell’Eden, Un ricordo di Natale)

• In inglese
Breakfast at Tiffany’s, Penguin Classics 2000.
In Cold Blood, Penguin Essentials 2012.
Portraits and Observations. The Essays of Truman Capote, Random House 2007.
The Complete Stories, intr. di Raynolds Price, Random House 2004.
The Early Stories, pref. di Hilton Als, Random House 2015.

Bibliografia secondaria
Intervista a Truman Capote, tr. di Irene Duranti, in AA.VV., The Paris Review interviste vol. 1, tr. di Francesca Valente et alii, intr. di Philip Gourevitch, Fandango 2009.
Gerald Clarke, Truman Capote, tr. di Luigi Schenoni, Frassinelli 1989.
Lawrence Grobel, Colazione da Truman. Incontri con Capote, tr. di Lucio Carbonelli, pref. di James A. Michener, Minimum Fax 2007.

Gli scaffali sono minibibliografie (o a volte anche discografie) compilate a posteriori, prendendo atto del contenuto delle mensole domestiche.

Box 3, spool 5

Rivedere L’ultimo nastro di Krapp trent’anni abbondanti dopo David Warrilow. In italiano, interpretato da Giancarlo Cauteruccio. (Ma perché solo dieci persone a vederlo? Perché solo dieci persone anche l’altra volta che sono andata alla rassegna di conversazioni e teatro su Pasolini e Beckett curata da Doninelli? Qui ci vorrebbe un’appassionata difesa delle sale parrocchiali.)
Due cose, principalmente (o tre).

Rivedere Krapp dopo trent’anni e non avere nastri di trent’anni fa. Poteva essere una buona idea, peccato essere giovani e incoscienti. Ci sarà gente che ha preso lo spunto da Beckett e si è registrata degli appunti diaristici sonori invece di scriverli? Pare impossibile non averci mai pensato prima d’ora, come un “giorno dell’anno” (Christa Wolf) sonoro.

Rivedere Krapp nell’era del digitale. Per definizione si svolge in the future /d’ici quelque temps. Testo del 1958. A fine Novecento eravamo nell’epoca dei registratori a cassetta, ma il principio era quello, riconoscibile (negli studi radiofonici i registratori a bobina esistevano ancora); eravamo, in effetti, nel futuro (la registrazione su nastro è disponibile dagli anni 50, e Krapp ha registrato per circa 40 anni). Non so esattamente come funzioni la regia audio di Cauteruccio; la macchina c’è, ma, se è mai stata manovrata direttamente dall’attore – forse no: anche originariamente il suono veniva dalla regia? – certamente non lo è oggi. E oggi è facilissimo prendere appunti sonori (o video, volendo) con il marchingegno che abbiamo sempre in tasca. Dunque ha ancora senso (a parte il testo meraviglioso) mettere in scena Krapp? Forse sì, perché rende visibile l’insensatezza della tentazione di oggettivare la memoria – di registrare tutto – sviluppatasi col digitale.

Rivedere Krapp in italiano (classica traduzione di Fruttero). Spool: bobina. Bobiiina! Certo, in francese è bobine. Box three/spool five: tecnico, veloce. Boîte trois/bobine cinq: allitterante. Scatola tre/bobina cinque: molte sillabe, burocratico.

In copertina dell’Oscar Mondadori (1983), disegno di Ferenc Pintér.

Romanzi sui traduttori

Pablo De Santis, La traduzione, tr. di Elena Rolla, Sellerio 2001

Biagio Goldstein Bolocan, Il traduttore, Feltrinelli 2017

Brice Mathieussent, La vendetta del traduttore, tr. di Elena Loewenthal, Marsilio 2009

Idra Novey, Ways to Disappear, Little, Brown, 2016 (La donna che sparì con un libro, tr. di Letizia Sacchini, Garzanti 2017)

Ne conoscete altri?

Varianti vittoriane

Anche quest’anno il nostro post di traduzioni di stagione – un po’ in anticipo su Halloween; questioni di calendario.

Edith Nesbit
Il mistero della villetta bifamiliare

La stava aspettando; l’aspettava da un’ora e mezzo in una polverosa stradina suburbana, con una fila di grandi olmi da un lato e dall’altro qualche appetibile terreno da costruzione – e lontano a sud-ovest le ammiccanti luci gialle del Crystal Palace. Non era proprio come una stradina di campagna, perché aveva marciapiede e lampioni, ma comunque non era un brutto posto per un appuntamento; e più su, verso il cimitero, era in realtà abbastanza agreste, e quasi graziosa, soprattutto al crepuscolo. Ma da tempo il crepuscolo si era scurito in notte, e lui aspettava ancora. L’amava, ed era fidanzato ufficialmente con lei, con la completa disapprovazione di ogni persona ragionevole che fosse stata consultata. E stasera questo appuntamento semiclandestino doveva prendere il posto del colloquio settimanale sancito con riluttanza – perché un certo ricco zio era in visita a casa, e la madre di lei non era donna da svelare a uno zio abbiente, che avrebbe potuto «andarsene» da un giorno all’altro, un’unione così profondamente inappetibile come quella tra loro due.
Dunque l’aspettava, e il freddo di una sera di maggio insolitamente rigida gli entrava nelle ossa.
Il poliziotto lo superò con appena una reazione scorbutica al suo «Buonasera». I ciclisti gli passavano accanto come fantasmi grigi dotati di sirene da nebbia; ed erano quasi le dieci, e lei non era venuta.
Si strinse nelle spalle e si diresse verso il suo alloggio. La strada lo portò davanti alla casa di lei – desiderabile, spaziosa, bifamiliare – e si avvicinò a passo lento. Lei avrebbe potuto uscirne in quello stesso momento. Ma non accadde. Non c’era nessun segno di movimento nella casa, nessun segno di vita, neppure luci alle finestre. E non era gente che andasse a letto presto.
Si fermò vicino al cancello, incerto.
Poi notò che la porta d’ingresso era aperta – spalancata – e che il lampione mandava un po’ di luce nell’atrio buio. C’era qualcosa in tutto ciò che non gli piaceva – anzi, che lo spaventava un po’. La casa aveva un’aria cupa e abbandonata. Era chiaramente impossibile che ospitasse un ricco zio. Il vecchio doveva essere partito prima. Nel qual caso…
Risalì il vialetto di mattonelle dallo smalto lucido, e ascoltò. Nessun segno di vita. Passò nell’atrio. Non c’era luce da nessuna parte. Dov’erano tutti, e perché la porta era aperta? In salotto non c’era nessuno, la sala da pranzo e lo studio (due metri e mezzo per due) erano ugualmente deserti. Erano tutti fuori, evidentemente. Ma la spiacevole sensazione di non essere, forse, il primo visitatore casuale a varcare quell’uscio aperto lo spinse a esplorare la casa prima di andare via e chiuderselo alle spalle. Quindi salì di sopra e alla prima porta che incontrò accese un cerino, come aveva fatto nelle stanze di soggiorno. Proprio mentre lo faceva sentì di non essere solo. Ed era preparato a vedere qualcosa; ma a quel che vide non era preparato. Perché quel che vide giaceva sul letto, in un ampio abito bianco – ed era la sua innamorata, e la sua gola era tagliata da un orecchio all’altro. Egli non sa cosa sia successo poi, né come arrivò al pianterreno e in strada; ma in qualche modo uscì, e il poliziotto lo trovò in preda alle convulsioni, sotto il lampione all’angolo della strada. Quando lo prelevarono non riusciva a parlare, e passò la notte in cella, perché il poliziotto di ubriachi ne aveva visti tanti, ma mai uno con le convulsioni.
Il mattino dopo stava meglio, sebbene ancora molto pallido e malfermo. Ma la storia che raccontò al magistrato fu convincente, e mandarono un paio di agenti con lui alla villetta.
Non c’era folla intorno come aveva immaginato di trovare, e le tende avvolgibili non erano abbassate.
Mentre stava, frastornato, davanti alla porta, questa si aprì, e ne uscì lei.
Lui si appoggiò allo stipite per sostenersi.
«La signorina sta benissimo, vede» gli disse l’agente che l’aveva trovato sotto il lampione. «Ce l’avevo detto che era ubriaco, ma non sentiva ragione…»
Quando fu solo con lei le raccontò – non tutto – perché quello non tollerava d’essere raccontato – ma come era entrato nella spaziosa villetta bifamiliare, e aveva trovato la porta aperta e le luci spente, ed era stato nella lunga camera sul retro di fronte alle scale, e aveva visto una cosa – cercando di accennare alla quale si sentì male e crollò e dovette farsi dare del brandy.
«Ma, mio caro» disse lei, «credo bene che la casa era buia, perché eravamo tutti al Crystal Palace con mio zio, e senza dubbio la porta era aperta, perché le cameriere scappano sempre fuori quando restano sole. Ma non puoi essere stato in quella stanza, perché quando sono uscita l’ho chiusa a chiave, e la chiave l’avevo in tasca. Mi sono vestita in fretta e ho lasciato tutte le mie cose sparse in giro.»
«Lo so» disse lui; «ho visto una sciarpa verde su una sedia, e dei lunghi guanti marrone, e una quantità di forcine e nastri, e un libro di preghiere, e un fazzoletto di pizzo sulla toilette. Ecco, ho persino notato l’almanacco sulla mensola del caminetto – 21 ottobre. Questo almeno non può essere, perché siamo in maggio. Eppure era così. Il tuo almanacco è sul 21 ottobre, non è vero?»
«No, ovviamente no» disse lei, con un sorriso piuttosto ansioso; «ma tutte le altre cose erano proprio come dici. Devi aver avuto una visione, un sogno o qualcosa.»
Lui era un giovanotto della City molto normale e ordinario, e non credeva nelle visioni, ma non ebbe un giorno o una notte di quiete finché non ebbe portato la sua innamorata e la madre via dalla spaziosa bifamiliare, facendole stabilire in un sobborgo piuttosto lontano. Fra l’altro nel corso del trasloco si sposarono, e la madre andò a vivere con loro.
I nervi del giovanotto dovevano essere rimasti parecchio scossi, perché per molto tempo fu stravagante e continuò a informarsi se qualcuno avesse preso la villetta desiderabile; e quando la prese un vecchio mediatore di borsa con famiglia, arrivò al punto di fare visita al vecchio signore e implorarlo, per tutto ciò che aveva di più caro, di non vivere in quella casa funesta.
«Perché?» disse il mediatore, prevedibilmente.
E allora lui diventò così vago e confuso, tra il tentativo di dire il perché e il tentativo di non dirlo, che il mediatore lo accompagnò alla porta, e ringraziò il suo Dio di non essere così stupido da permettere che uno squilibrato gli impedisse di prendere quella residenza bifamiliare così conveniente e desiderabile.
Ora, la parte curiosa e del tutto inesplicabile di questa storia è che quando lei scese a colazione la mattina del 22 ottobre, trovò il marito di un pallore mortale, con il giornale del mattino in mano. Lui afferrò la sua – non riuscì a parlare, e indicò il giornale. E lei vi lesse che la notte del 21 ottobre una signorina, la figlia del mediatore di borsa, era stata trovata, con la gola tagliata da un orecchio all’altro, sul letto della lunga camera sul retro di fronte alle scale di quella desiderabile villetta bifamiliare.

Traduzione di Alba Bariffi
Testo originale

Scaffali: letteratura fantastica

Una possibile prospettiva sulla ricezione italiana del racconto fantastico, di lingua inglese ma non solo, e relativa critica (file under: costruire competenze peregrine e non richieste)


Antologie di racconti

Storie di fantasmi. Antologia di racconti anglosassoni, a c. di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, Einaudi 1960
Racconti fantastici dell’Ottocento a c. di Italo Calvino, Mondadori 1983

Critica

Julia Briggs, Visitatori notturni, tr. di Marina Bianchi, Bompiani 1988
Roger Caillois, Dalla fiaba alla fantascienza, tr. di Paolo Repetti, Theoria 1985
Roger Caillois, Nel cuore del fantastico, tr. di Laura Guarino, Feltrinelli 1984
Remo Ceserani, Il fantastico, Il Mulino 1996
Rosemary Jackson, Il fantastico. Letteratura della trasgressione, Pironti 1986
Francesco Orlando, Il soprannaturale letterario, Einaudi 2017
David Punter, Storia della letteratura del terrore, tr. di Ottavio Fatica e Giovanna Granato, Editori Riuniti 1997
Massimo Scotti, Storia degli spettri. Fantasmi, medium e case infestate fra scienza e letteratura, Feltrinelli 2013
Sergio Solmi, Saggi sul Fantastico. Dall’antichità alle prospettive del futuro, Einaudi 1978
Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica, tr. di Elina Klersy Imberciadori, Garzanti 1977
Elémire Zolla, Storia del fantasticare, Bompiani 1960

Non mi risulta invece tradotto in italiano:
Jack Sullivan, Elegant Nightmares. The English Ghost Story from Le Fanu to Blackwood, Ohio University Press 1978

Vedi anche lo scaffale Vampiri

Meet you at the cemetery gates

Viale del cimitero acattolico di Roma

Per le Varianti autunnali, quest’anno una breve antologia di poesie scritte in memoria di un altro scrittore, magari in occasione di una visita alla tomba. Dal classico al criptico, al meramente occasionale; prevalenza di motivi acquatici. Esiti disparati del pentametro inglese. Andiamo in ordine cronologico.

La tomba di Shelley
di Oscar Wilde (1881)

Come fiaccole estinte al letto di un malato
magri cipressi attorniano la pietra scolorita;
qui la piccola civetta fa il suo trono
e la lucertola mostra il capo ingioiellato.

Dove papaveri a coppa ardono di rosso,
nella camera immota di quella piramide
una sfinge del Mondo Antico certo si occulta,
cupa guardiana di questo giardino dei morti.

Ah! Dolce è riposare dentro il grembo
della Terra gran madre dell’eterno sonno,
ma assai più dolce per te una tomba inquieta

nella caverna azzurra di un abisso d’echi,
o dove grandi navi affondano nel buio
sugli scogli di un’erta rotta dalle onde.

(originale: sonetto “all’italiana” ABBA, ACCA, DED, EDE)

Alla tomba di Melville
di Hart Crane (1926)

Sotto l’onda sovente, via da questo scoglio
i dadi d’ossa di annegati vide tramandare
un’ambasciata. I numeri, sotto il suo sguardo,
battendo sulla riva polverosa eran confusi.

Passavano relitti senza suono di campane,
il calice della morte prodigo a ridare
un capitolo in frammenti, geroglifico livido,
il presagio avvolto in corridoi di conchiglie.

Poi nella calma orbita di una vasta spira,
placate le sferze e sopito il rancore,
furono occhi gelati ad innalzare altari;
e risposte mute impresse sulle stelle.

Bussola, quadrante e sestante non evocano
più maree lontane… Giù negli azzurri abissi
il canto funebre non sveglia il marinaio.
Solo quest’ombra favolosa serba il mare.

(originale: quartine con rime occasionali)

In un appartato cimitero di Providence ove si recò Poe
di H.P. Lovecraft (1936)

Eterne le ombre covano su questo suolo
Da secoli sognando ciò che un tempo accadde;
Grandi olmi solenni svettano tra lapidi,
Alti guardiani di un mondo ormai nascosto.
Ristagna intorno una luce di memoria,
Alitano le foglie morte di quei giorni
Lontani e ne vagheggiano le viste.
Lo spettro triste si aggira per i viali
Allor calcati dai suoi passi vivi;
Non lo scorge uno sguardo comune, ma
Palpita nel tempo il suo canto misterioso:
Ode solo chi il segreto della magia imparò
E fra le tombe avvista lo spirito di Poe.

(originale: “sonetto” acrostico ABAB CCB DEDE FF)

Traduzioni di Alba Bariffi

Versi famosi e apparentemente semplici

Quanti modi ci saranno di tradurli in italiano? Addio, in questo caso, alla rima.

L’Adieu
di Guillaume Apollinaire (Alcools, 1913)

J’ai cueilli ce brin de bruyère
L’automne est morte souviens-t’en
Nous ne nous verrons plus sur terre
Odeur du temps brin de bruyère
Et souviens-toi que je t’attends

L’addio
Ho colto questo filo d’erica
l’autunno è morto tu ricordalo
non ci vedremo mai più in terra
odor del tempo filo d’erica
e tu ricorda che t’aspetto

Traduzione di Alba Bariffi